Nel sabato pomeriggio trascorso in montagna, la bufera mi sorprende sotto la pensilina in cui mi rifugio attendendo l'autobus che dovrebbe (con questo tempaccio, il condizionale è quanto mai d'obbligo) riportarmi nella quieta Pistoia. La neve, sospinta dal vento, arriva fin sotto la tettoia e infreddolito guardo la ragazza con cui divido il riparo mentre si sporge, impaziente, scrutando l'arrivo del pullman in fondo alla discesa. Ha il cappello di lana calato sugli occhi e, gelata dalla tormenta, si stringe nel piumino coperto da una spolverata di ghiaccio. Anch'io ho il giaccone imbiancato e, con l'autobus in forte ritardo, il mio sguardo divaga nel turbinio dei fiocchi, soffermandosi sulle luccicanti stalattiti che, dalle gronde, calano fino alle facciate intonacate di neve. In terra la coltre è ormai alta e, mentre mi accompagna nell'attesa il fruscio delle poche auto che passano, d'improvviso, dal nulla della bufera, sbuca lento un camioncino di surgelati; si ferma davanti al mio occasionale riparo e il conducente scende. Tarchiato, con gli enormi baffi bianchi e il giubbino rosso, incurante della neve e del vento, apre il portellone posteriore, scarica alcune scatole e, dopo aver consultato il foglio che tiene in mano, inizia a suonare i campanelli di un'impensabile e sorprendente consegna a domicilio. Non riesco a trattenere il sorriso che mi si stampa sul viso e anche il novello Babbo Natale se ne accorge, ma proprio in quel momento la ragazza si volta accennando in fondo alla strada e raggiante sussurra "... eccolo!".

Adolfo Fabbri  - Porta San Pietro

Sull'autobus la neve sotto le scarpe si scioglie in rivoli incerti che, il rumoroso scuotere delle catene agganciate ai pneumatici, fa tremare sul linoleum del corridoio. Rannicchiato nel sedile ripenso all'uomo dei surgelati sotto la nevicata e all'occasione persa di una foto quantomeno insolita; comunque non mi cruccio e, non certo casualmente, mi tornano in mente le parole di Adolfo Fabbri (l'amico-fotografo ospite del GFP la sera prima) al momento dei saluti. "Non penso mai alle foto fatte, quanto piuttosto, a quelle che non sono riuscito a fare..." aveva infatti detto, tradendo la bonarietà e la modestia di chi è bravo senza aver bisogno di ostentarlo.

Di sicuro, l'arrivo dei surgelati nella bufera sarebbe piaciuto anche a lui e, a differenza di me, avrebbe colto quel momento perché, in ogni frangente, si aspetta sempre qualcosa. Ce l'ha raccontato con le ultime immagini, quelle che mi piace definire "colte al volo, ma non rubate", realizzate pensando (soprattutto aspettando) che avvenga l'imponderabile. In questo sembra avere un sesto senso, ma abbiamo capito tutti che non è così perché nelle sue foto perseveranza, pazienza, conoscenza dei luoghi, delle situazioni e della luce sono prerogative sempre abbinate a una tecnica approfondita da lunghe esperienze.

Adolfo Fabbri  - Ultimo sole

Ma con quelle immagini Adolfo ci ha rivelato anche altro. Soprattutto quello che pochi fotografi hanno la capacità di trasmettere con la complicità di un sorriso: l'umorismo.

E' difficile raccontare le sue foto adesso, ma dopo le spontanee risate seguite agli scatti del bambino che, da un manifesto, si protende nel passeggino per afferrare il gatto (vero) sul tetto dell'automobile (vera) sotto a lui, o quella di un altro bambino, anche lui seduto nel passeggino, che morde un giornale con in copertina la smorfia di dolore di un altro bimbo... beh, qualcuno ha davvero fatto il nome di Elliot Erwitt!

Gli scatti di Adolfo ci hanno però raccontato anche composizioni rigorose che, nel controllo di un'attenta ricerca delle vie di fuga, diventano funzionali alle sapienti prospettive con cui connota il suo "essere fotografo".

Infatti è ancora così che, nell'ordinario paesaggio urbano, riesce a valorizzare geometrie e grafismi di particolari architettonici vivaci nei colori, esuberanti nelle forme e dirompenti nei volumi. Poi altre foto con le ombre di reconditi scorci (dell'amata Lucca) a chiudersi nel nero assoluto, per evidenziare vividi tagli di luce sugli occasionali passanti, ignari protagonisti di alchimie estreme e equilibrate. E le ombre di Adolfo tornano di nuovo nei giochi dei ragazzini su una strada o in una piazza, rivelandoci la scelta di fotografarli così per raccontare, in modo originale e indiretto, la gioia per un salto, una capriola o il rimbalzo di un palla sull'asfalto.

Ma quella gioia è anche la sua. E lo abbiamo capito quando ha definito la macchina fotografica "un'amica che non mi ha mai tradito", apparendo oltremodo invidiabile nella felicità di chi, con una reflex, ha tutto ciò che gli occorre.

Adolfo Fabbri  - Ciao piccolina

Alla fermata mi incammino pigramente verso casa mentre l'autobus fugge nella direzione opposta, ansimando in un'enorme nuvola nera; nella strada ormai al tramonto un anziano cicloamatore sfreccia via curvo, sulla scintillante bicicletta da corsa. E' inappuntabile nella vivace "montura" con calzamaglia fosforescente e maglietta variopinta, ma ad attrarre la mia attenzione è il minuscolo zainetto sulle sue spalle da cui fuoriesce, ergendosi a traballante passeggera, un'enorme pompa per biciclette di quelle da usare, spingendo faticosamente a terra, la grande maniglia di legno.

"Certo, non farò foto, ma le situazioni riesco ancora a vederle!" commento da solo; poi, penso nuovamente alle parole di Adolfo...

Carlo Bartolini

23 febbraio 2013 – Sulla strada da Le Piastre a Pistoia

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