Presentare un amico a chi non lo conosce è facile, parlarne a chi sa tutto del suo essere fotografo è, viceversa, arduo; ma le sfide del pensiero mi piacciono, e allora eccomi a raccontare Massimiliano Leggieri e la sua serata al GFP.
Massimiliano l'ho conosciuto una decina d'anni fa, quando (per fortuna di tutti) la Fotografia lo aveva sottratto alla Musica con il pretesto di soddisfare il suo inappagato desiderio di raccontare e di raccontarsi in modo sempre diverso e comunque insolito. Erano i suoi primi approcci con la reflex e li ho vissuti nelle serate in cui esprimevo, come ancora succede, un parere da giurato al concorso interno del suo Fotoclub.
Mi piace disquisire su una foto per motivare le mie sensazioni e ricordo che spesso, nel concitato, seppur amichevole, confronto del "dopo gara", sollecitava il silenzio per la voglia di ascoltare e capire il mio pensiero. Ciò mi ha sempre onorato e, benché non gliel'abbia mai detto, era per questo che continuavo a parlargli volentieri, tornando con lui verso casa. Il tempo di quell'improvvisata camminata notturna però non bastava mai e riuscivamo ad interrompere l'appagante scambio di opinioni solo a tarda ora, quando le nostre strade si dividevano, dopo una lunga fermata davanti alla saracinesca ormai abbassata del solito bar.
Ho sempre gradito parlare con lui perché i suoi pareri sulla Fotografia non sono mai banali, né approssimativi. Né, d'altra parte, lo sono i suoi scatti. Certo, in questo tempo (relativamente breve) il suo modo di fotografare è molto cambiato; però bravo lo è stato fin dalle prime foto per strada, quando catturava scorci e attimi metropolitani, finalizzando l'inquadratura alla sintesi e il taglio della luce alla particolarità.
Una esigente e spesso insoddisfatta voglia d'interpretare situazioni diverse lo ha inevitabilmente portato a esplorare nuovi orizzonti; sono così arrivati i bronzi che il gioco del chiaro-scuro ha animato di vita e, successivamente, i paesaggi in bianconero, contaminati dalle stesse atmosfere del suo io più profondo.
Insaziabile, ha voluto poi fotografare gli angusti spazi dell'abbandono e i reconditi luoghi della solitudine; ed è appunto lì che, fugaci figure e diafane presenze, gli hanno palesato un ricordo lontano, nel disagio di un anonimo presente. Lui ne ha catturato ogni minima sfumatura e venerdì sera ha liberato quelle essenze per farci conoscere il Riflessivo e il Sognatore, il Mite o il Folle raccontando così, gli stupori e le verità di un fotografo di emozioni.
Spero solo che la Musica non lo prenda di nuovo con sé...
Carlo Bartolini
foto di Alberto Ghelardini